Alberto Quadrio Curzio

Il rapporto SAPIR: un'agenda per la crescita europea


Nel luglio 2003 un gruppo di studio indipendente e di alto livello ha consegnato al presidente della Commissione Europea il rapporto "Agenda per un'Europa in crescita. Migliorare il funzionamento del sistema economico UE". Si tratta di un documento di notevole importanza, che segnerà il dibattito sul futuro dell'unione e presumibilmente la sua stessa azione.

Le sei politiche per promuovere la crescita

Le sei politiche proposte dalla Agenda rappresentano una notevole sintesi che qui sommariamente si espone.
Mercato unico. Bisogna renderlo più dinamico lungo tre linee: incoraggiare l'accesso al mercato di nuovi soggetti attraverso un miglior coordinamento fra politiche della regolazione e della competizione; sostenere la mobilità del lavoro dentro la UE con politiche più attive; creare infrastrutture per unificare maggiormente l'economia UE. Si tratta di indicazioni abbastanza note e condivise, che non presentano un particolare carattere innovativo ma che vanno implementate più efficacemente.
Spingere gli investimenti in conoscenza. Si constata che l'UE investe in R&S l'1,9% del Pil e in istruzione terziaria l'1,4% del Pil, che queste entità sono modeste nel confronto agli Stati Uniti, che l'obiettivo ragionevole è di portare in pochi anni entrambe al 3% del Pil.
Si constata che della popolazione in età lavorativa (25 -64 anni) la UE-15 ha il 38,9% con studi sotto la secondaria superiore, il 37,3 % con secondaria superiore e post secondaria, il 23,8 % con studi terziari. Gli Stati Uniti hanno rispettivamente 12,3%, 50,3%, 37,3%. Il divario qualitativo è dunque enorme. Nella brevettazione la UE-15 cifra un quarto di quella statunitense per milione di abitanti. L' elenco potrebbe continuare.
Ma al problema quantità si aggiunge quello qualità che porta a concludere che bisogna investire meglio in conoscenza. Le raccomandazioni finali sono dunque: l'investimento addizionale in R&S e in istruzione post-laurea deve concentrarsi soprattutto sulle eccellenze anche per richiamare le migliori qualità da tutto il mondo incentivando i «ritorni» in Europa. Al fine di allocare i fondi si propongono criteri di valutazione assolutamente oggettivi; va creata la European Agency for Science and Research (Easr) sul modello statunitense per garantire che il processo di finanziamento della ricerca sia gestito al meglio; vanno dati crediti di imposta per incoraggiare investimenti privati nella ricerca e specialmente nelle piccole imprese start-up.
Politiche macroeconomiche per la UE. Bisogna aumentare gli incentivi agli Stati membri per creare surplus di bilancio nei periodi favorevoli ma nel contempo creare flessibilità delle politiche fiscali nei periodi sfavorevoli dentro uno schema che aumenti la sorveglianza sui bilanci ma nel contempo renda più efficace e flessibile il Patto di stabilità e crescita (Psc) nel rigoroso rispetto del limite del 3% del deficit su Pil per gli Stati membri. Dal punto di vista delle responsabilità, la Commissione europea dovrebbe aumentare la sua sorveglianza sul Psc ma nel contempo avere più responsabilità interpretative dello stesso mentre negli Stati membri dovrebbero essere istituite dei Consigli indipendenti di auditing. Dal punto di vista dei contenuti del Psc bisogna introdurre una maggiore differenziazione tra Stati membri sulla base del livello del debito pubblico e andrebbero variate le condizioni che ammettono una violazione del vincolo de13% di deficit su Pil. Basterebbe cioè che si verificasse una recessione invece che una «grande» recessione, com'e attualmente stabilito.
Dal punto di vista del coordinamento dovrebbe incrementare quello tra i processi di formulazione dei bilanci nazionali e maggior dialogo ci vorrebbe tra il presidente del «nuovo» Consiglio di Eurolandia (attualmente informale), quello della Bce e il Commissario competente della UE.
Si tratta di indicazioni fortemente innovative che danno senso costruttivo a tutte le critiche al Psc senza abbandonarlo ma volgendolo al meglio.
Politiche di convergenza e ristrutturazione. Le politiche di convergenza della UE dovrebbero concentrarsi sui Paesi piuttosto che sulle Regioni a basso reddito con una stringente verifica della legittimazione ad accedere degli interventi di assistenza della UE a fine di ogni periodo di programmazione. I Fondi per la convergenza attribuiti ai Paesi a basso reddito dovrebbero concentrasi sulla loro costruzione istituzionale come prerequisito per la crescita e sugli investimenti in capitale umano e fisico lasciando che siano gli Stati membri a allocare i fondi tra i vari progetti ma dichiarando però i loro obiettivi per consentire un monitoraggio europeo. Le politiche di ristrutturazione della UE dovrebbero concentrarsi: sul fattore lavoro con riferimento a chi rimane disoccupato e necessita di riqualificazione; sui trasferimenti o l'avvio di nuove imprese; sul sostegno complementare alle politiche di Welfare nazionali; infine e in parte al settore agricolo. Si tratta anche in questo caso di indicazioni innovative che tuttavia troveranno grandi resistenze nazionali.
Conseguire efficacia nei processi decisionali e di regolazione. Molte sono le raccomandazioni: l'assegnazione delle competenze tra la UE e gli Stati membri deve essere definita in modo più flessibile ma anche più coerente; bisogna spostare dalla Commissione a enti europei indipendenti la gestione di alcuni finanziamenti (per esempio i programmi di ricerca) e l'applicazione di alcuni leggi economiche e di funzioni regolamentari (per esempio la politica antitrust); ulteriori spostamenti a favore di un sistema decentrato della regolazione dei mercati sviluppando sia reti di enti nazionali ed europei operanti dentro la stesso contesto legale sia partnership di enti nazionali autonomi cooperanti tra loro e con enti dell'UE; migliorare la gestione del mercato unico; rafforzare i metodi dell'UE per implementare l'agenda europea per la crescita e la coesione sociale; riforme per rafforzare le capacita strategiche delle istituzioni UE compresa una Commissione più leggera (15 membri) e un Consiglio che operi con un più esteso metodo della maggioranza qualificata nelle questioni economiche; l'estensione del metodo delle cooperazioni rafforzate tra sottoinsiemi di Stati membri senza definire a priori il numero dei partecipanti.

Si tratta di un impressionante insieme di proposte che in taluni casi appaiono largamente condivisibili e diremmo inevitabili, come nel caso delle cooperazioni rafforzate senza le quali la UE-25 si bloccherebbe. In altri casi suscitano qualche perplessità come in quello di spostare poteri e compiti della Commissione ad altri Enti europei indipendenti, soluzione che potrebbe aumentare il cosiddetto deficit democratico.
Bilancio UE da rifocalizzare. Si propone che vengano distinti tre fondi con lo scopo di usare il bilancio per raggiungere gli obiettivi al 2010. Dal punto di vista della spesa i fondi devono essere: uno per la crescita, uno per la convergenza, uno per la ristrutturazione. L'eleggibilità a ciascuno dei tre fondi sarà basata su criteri distinti, leali, trasparenti. Se il bilancio totale UE rimarrà immodificato, allora andranno ridotti e fondi per l'agricoltura e per le politiche rurali degli Stati membri. Dal punto di vista delle entrate, il finanziamento del bilancio UE deve essere spostato dai contributi nazionali a fonti di chiara portata europea. Dal punto di vista delle procedure di bilancio le stesse devono essere riviste anche con la devoluzione di alcune responsabilità per l'attuazione del budget a soggetti diversi dalla Commissione.
Si tratta di proposte largamente condivisibili che tuttavia troveranno formidabili resistenze sia dagli Stati membri sia da corporazioni a loro interne e dotate di un grande potere politico che viene poi utilizzato a fini intra-nazionali.

La crescita della UE, le debolezze, le sfide

Tutto quanto detto si fonda sulle urgenze poste da una preoccupante constatazione: la UE cresce troppo poco e perde terreno. Ampliamo questa valutazione del Rapporto soprattutto in base al capitolo 4 pur consapevoli che il tema lo attraversa tutto centrando il titolo stesso sul termine-concetto di «crescita».
Reddito pro capite. Lo stesso è fermo dal1970 nella UE al 70% di quello statunitense, dopo un primo ventennio di forte recupero. La causa sta nella diversa dinamica della produttività del lavoro e dell'occupazione. In UE la produttività oraria del lavoro ha continuato a crescere passando dal 64,8% al 90,7% di quella statunitense ma nel contempo sono calate le ore lavoro per occupato e la quota di occupati sulla popolazione in età lavorativa. Così nella UE la crescita della produttività è stata perfettamente compensata dalla diminuzione delle ore lavorate sulla popolazione. Nel 2000 la differenza tra i redditi pro capite della UE e degli Stati Uniti si spiega per tre componenti ciascuna con peso di un terzo: minore produttività del lavoro; minor numero di ore lavorate; minor tasso di occupazione. All'interno di questa valutazione si possono specificare altri aspetti relativi ai tassi di occupazione per genere e per età e al lavoro a tempo parziale rispetto al tempo pieno.
Crescita del Pil. Il fenomeno del rallentamento UE si può vedere in un'altra prospettiva. La UE ha registrato un calo del tasso di crescita medio annuo del Pil totale dal 3% degli anni Settanta, al 2,4 % degli anni Ottanta, al 2,1% degli anni Novanta che suddivisi in due quinquenni segnano l'1,5% nella prima metà e il 2,4% nella seconda. La crescita degli Stati Uniti e opposta: dal 32% degli anni Settanta e Ottanta e passata al 3,6% degli anni Novanta con un 3,1% nel primo quinquennio e un 4,1% nel secondo. Il divario nei tassi di crescita Stati Uniti - UE è passato da 0,2 punti percentuali degli anni Settanta al 1,5 della seconda parte anni Novanta. In UE la crescita é stata sostenuta soprattutto dall'aumento della produttività del lavoro a fronte di input di lavoro in termini di ore annUE lavorate in calo negli anni Settanta, stazionario negli anni Ottanta, lievemente in crescita negli anni Novanta determinata da una notevole crescita nel secondo quinquennio a fronte di un notevole calo nel primo. Negli Stati Uniti la crescita è stata sostenuta sia da quella nell'input di lavoro sia da quella della produttività. In particolare la crescita della produttività statunitense ha superato quella della UE nella seconda parte degli anni Novanta. In sintesi: la crescita della UE si é basata su quella della produttività e non su quella dell'input di lavoro cresciuta significativamente solo nel secondo periodo degli anni Novanta mentre la crescita statunitense si è basata sull'incremento sia della produttività che sull'input di lavoro.
II paradosso produttività-occupazione. Nei Paesi europei con lo stesso grado di sviluppo si rileva una correlazione negativa tra produttività oraria e numero di ore lavorate pro capite. Ciò implica dei trade-off che si possono illustrare così: i Paesi con bassa produttività la compensano con più ore lavorate e/o più alti tassi di occupazione; i Paesi non riescono a migliorare l'occupazione senza diminuire la produttività; i Paesi con produttività maggiore o eguale a quella statunitense hanno una parte della loro forza lavoro disoccupata comparativamente agli Stati Uniti e ciò significa che lasciano disoccupati i lavoratori a bassa produttività; nella UE c'è una alta produttività del lavoro distorta da un alto rapporto capitale/lavoro e da disoccupazione. A questo paradosso si sottraggono solo alcuni Paesi europei ad alta produttività ed occupazione. Ma, in generale, la differenza è che negli Stati Uniti la crescita è spinta dall'aumento sia nella produttività che nelle ore lavorate pro capite per l'aumento del tasso di occupazione.

Conclusioni

Sembra che alla presentazione del Rapporto, alcuni Commissari UE abbiano reagito con critiche mentre il presidente Prodi sia stato neutrale.
Tra le altre, sembra che critiche siano venute anche sulla ristrutturazione del bilancio della UE che il Rapporto propone di suddividere in tre fondi (per la crescita, per la convergenza, per la ristrutturazione) con un drastico dimensionamento della Pac. Per quanto riguarda le entrate si propone di ridurre i contributi nazionali a favore quelli a scala europea. Entrambe le proposte sono importanti ma molto urteranno gli Stati membri oggi beneficiati dalla Pac e dai fondi strutturali, anche per le loro cosiddette regioni povere. Si potrebbe profilare dunqUE uno scontro tra le logiche delle convenienze intergovernative (o addirittura intra-governative, dentro gli Stati membri) che verrebbero indebolite dalla nuova logica del bilancio UE e da entrate UE su fonti europeizzate e non su contribuzioni nazionali.
Ma anche per questo, e salvo prova contraria, noi crediamo che questo Rapporto segni un punto di svolta nella analisi e nelle proposte per superare, in linea con l'Agenda di Lisbona, la sindrome della bassa crescita UE. Si apre adesso un nuovo problema : come coordinare questo pregevole studio, e altri, con la proposta di Costituzione? L'idea di non considerarlo a tali fini non ci parrebbe buona anche perché la proposta di Costituzione ci sembra che dovrebbe essere più chiara e incisiva su alcuni altri grandi principi della eurodemocrazia quali la sussidiarietà, la solidarietà, lo sviluppo che anche noi abbiamo analizzato a lungo nel contesto della trilogia di crescita, costruzione e costituzione delle UE.